Quando si associa il colore nero
al contesto scientifico, lontano da quello dell’arte o della cultura popolare,
non si può non fare riferimento al mondo fisico e alla teoria dei buchi neri.
La teoria dei buchi neri
si fonda sulla teoria della gravitazione, formulata da Albert Einstein agli
inizi del ‘900. Questa teoria va ad affiancare/sostituire per certi aspetti la
teoria Newtoniana, secondo la quale la gravità crea un campo simile a quello
prodotto da un magnete (detto appunto campo gravitazionale), che fa si che
ciascun corpo dotato di massa (ad esempio la Terra) eserciti su un altro corpo
una forza attrattiva, e che quest’ultimo ne eserciti una sul primo di intensità
uguale ma di verso contraio. Einstein sostiene invece che tutti i corpi
massivi, curvino lo spazio attorno a loro, come fa ad esempio una palla
poggiata sul materasso. Inoltre, la relatività generale ipotizza che un corpo
massiccio sufficientemente grande, come ad esempio una stella può collassare su
se stesso fino a concentrarsi in un punto a densità infinita, chiamato singolarità.
La singolarità deforma così pesantemente lo spazio attorno a sé che neppure la
luce - se vi passa sufficientemente vicino - può uscirne. E così siamo in
pratica arrivati a immaginare un buco nero.
Vent’anni
dopo molti fisici cominciarono ad interessarsi al fenomeno dei buchi neri: lo
statunitense John Wheeler (che darà il nome ai buchi neri),l’inglese Roger
Penrose, il sovietico Yakov Zel'dovič e
successivamente Dennis Sciama e Steven Hawking. Quest’ultimo inizia ad approfondire
la teoria del Big Bang, paragonandolo ad un buco nero al contrario: tutto ha
origine da una singolarità (anziché ridursi in essa). Inoltre, intuisce che un
buco nero non può mai restringersi, ma solo aumentare le sue dimensioni,
proprio perché tutto ciò che passa nelle sue vicinanze viene risucchiato; che
un buco nero non può spezzarsi, neanche collidendo con un altro buco nero;
chiama il confine “orizzonte degli eventi” ed accosta l’espansione di quest’utlimo
al concetto di entropia: anche l’universo diventa sempre più disordinato
ingrandendosi.
Il
fisico israeliano Jacob Bekenstein, contesta la connessione tra buchi neri ed
entropia, ipotizzando che la dimensione del buco nero fose solamente la misura
dell’entropia del buco nero stesso. Hawking ribatte che affinchè il buco nero
abbia un’entropia, deve avere necessariamente una temperatura, e quindi
irradiare energia… e ciò va contro la definizione stessa di buco nero, dal
quale non esce nulla.
Successivamente,
lo stesso Hawking ammette di aver sbagliato: parte dal presupposto che lo
spazio sia popolato da coppie di particelle di materia e antimateria, che si
annullano l’una con l’altra talmente velocemente da non venire nemmeno percepite,
e per questo sono chiamate particelle virtuali. Secondo Hawking queste particelle
possono diventare reali se nascono nelle vicinanze di un buco nero, cosicchè una
delle due “metà” venga risucchiata, e sia possibile percepire l’altra; ma se il
buco nero assorbe la particella di antimateria, l’energia totale del buco nero
diminuisce, e così la sua massa.
Il risultato di questo
ragionamento è che il buco nero deve irradiare energia (la radiazione
di Hawking) e può diventare sempre più piccolo. Ecco dunque che
Hawking confuta la sua stessa idea di partenza, che voleva i buchi neri in
espansione continua.
Nel
1974, Hawking e il fisico Jacob Bekenstein formulano una teoria secondo la
quale i buchi neri perdono progressivamente energia e massa fino a svanire
completamente nel nulla, come se “evaporassero”. Secondo questa teoria, i buchi
neri potrebbero distruggere tutta l'informazione sulla materia caduta al loro
interno, il mondo quindi non sarebbe deterministico, teoria estrema confutata
da moltissimi scienziati.
Nonostante
ciò quest’anno il fisico Jeff Steinhauer è riuscito in qualche modo a provare
questa teoria, riproducendo in laboratorio una sorta di buco nero. Steinhauer osserva
il comportamento differente delle particelle in prossimità del modello del buco
nero: una cade dentro al buco, l’altra riesce a fuggire portando con se anche l’informazione
della particella risucchiata.
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